Gianfilippo Usellini - Il Ritorno Dell'emigrante

autore: GIANFILIPPO USELLINI
titolo: Il ritorno dell'emigrante
tecnica: affresco
misure: prima versione: cm. 180 x 110; seconda versione: cm. 238 x 160
epoca: prima versione: 12 luglio - 18 luglio 1956; seconda versione: 1962, dopo il 28 agosto
collocazione: prima versione: Casa del Pittore; seconda versione: via Beretta - piazza Minoia
iscrizioni: "1956/GF. USELLINI" in basso a sinistra

 

dipinto di Gianfilippo UselliniL'opera. Il dipinto è legato al fenomeno dell'emigrazione e raffigura una famiglia stretta intorno all'emigrante che, abbandonata la sacca, si stringe alla moglie, ai figli e ai genitori. La drammaticità del momento è contenuta non solo per la gestualità assai controllata dei personaggi, ma anche per la presenza giocosa del cane e dei pulcini in primo piano che, insieme alla piccola immagine votiva della Madonna con il Bambino, servono a creare la giusta scenografia dal sapore agreste e quotidiano.

 

L'artista. Nacque a Milano nel 1903 dove si diplomò presso l'Accademia di Brera di cui divenne, verso la fine della sua carriera, nel 1961, titolare della cattedra di decorazione e affresco succedendo ad Achille Funi. Fu allievo del pittore Luigi Donida Labati che gli fornì i primi stimoli e le nozioni necessarie per la tecnica dell'affresco e dell'encausto e fu compagno di Carpi.
Precedentemente insegnò alla Scuola d'Arte del Castello Sforzesco dal 1928 al 1940, mentre dal 1940 al 1960 ebbe la cattedra al Liceo Artistico di Brera.
Gli esordi artistici furono caratterizzati da un'influenza della metafisica di De Chirico e dal Doganiere Rousseau. Nel 1926 partecipò alla Biennale di Venezia dove conobbe lo scultore Arturo Martini, mentre nel 1933 eseguì l'affresco intitolato "le quattro età" per la Triennale di Milano. Nel 1934 decorò ad encausto le pareti del salone d'onore del Palazzo del Governo di Sondrio con scene relative ai lavori tradizionali. Negli anni successivi lavorò molto a Milano, in modo particolare al Palazzo di Giustizia, in provincia di Pavia e in altre località della Lombardia. Nel 1940 tenne una personale alla Biennale di Venezia. Nel 1941 realizzò quattro affreschi alla Sforzesca di Vigevano. Nel 1948 tenne una prima personale negli Stati Uniti che fu tra l'altro presentata da De Chirico. Negli ultimi anni della sua vita Usellini ebbe l'incarico da monsignor Macchi di realizzare un'opera per il Museo d'Arte Sacra del Vaticano; l'artista, per l'occasione, eseguì una Deposizione.Nel corso della sua attività collaborò spesso anche con il Teatro della Scala di Milano, fornendo bozzetti per scene e costumi.
Morì ad Arona ne11971.

 

Notizie storico-critiche. Ad Arcumeggia Usellini fu sicuramente l'artista che per primo affrontò un tema strettamente legato alla realtà sociale del borgo. "II ritorno dell'emigrante" (vedi foto n. 116, p. 146) infatti raffigura un momento a cui gli abitanti di Arcumeggia erano particolarmente legati poiché il fenomeno dell'emigrazione rappresentò per secoli, e in modo particolare nella prima metà del Novecento, una vicenda che vide coinvolte moltissime persone alla ricerca disperata di un'occupazione sia nei paesi europei che in quelli americani. Sicuramente Usellini volle rappresentare non il ritorno definitivo dell'emigrante, ma il momento del suo rientro ciclico, stagionale. Infatti una grande quantità di queste persone partiva ogni anno di primavera e tornava per trascorrere l'inverno in famiglia.
Stilisticamente Usellini predilesse per tale dipinto un lessico formale che risente ancora della cultura di "Novecento", un movimento artistico che, a detta di Agnoldomenico Piea, aveva dato molto all'artista per quanto egli, in gran parte della sua produzione, si fosse dimostrato più vicino alla metafisica dechirichiana.
Il 28 agosto 1961 lo stesso Usellini decise di procedere allo strappo dell'affresco, che venne compiuto da Aurelio Morellato, per trasportarlo su tela e collocarlo nella Casa del Pittore. Non si conoscono i motivi precisi che spinsero l'artista a questa scelta, anche se il fatto che Usellini avesse ripetuto il medesimo soggetto con dimensioni maggiori fa supporre che vi fosse il desiderio di realizzare un affresco che non si perdesse nell'ampiezza della parete e acquisisse una maggior capacità comunicativa.
Per quanto l'impaginazione complessiva della versione del 1956 sia stata rispettata in quella seguente, si riscontrano, tuttavia, alcune variazioni che, sebbene apparentemente insignificanti, in realtà contribuirono a modificare parzialmente il messaggio.
Nella versione del 1956 i volti dei personaggi appaiono ben diversi in quanto caratterizzati da fisionomie più marcate che vennero in seguito maggiormente addolcite. In modo particolare la fanciulla sulla sinistra, che indossava un abito più "paesano", fu trasformata, grazie anche all'espressione del viso più dolce, in una gentile e leziosa educanda.
La stessa moglie, inizialmente raffigurata con gli occhi aperti e con una fisionomia maggiormente segnata dagli anni, venne in seguito rappresentata con gli occhi chiusi, quasi in un atteggiamento di rassegnazione e con il volto più giovane. I genitori perdono la voluta rozzezza per acquisire un portamento più signorile. Anche l'ambiente in cui si svolge la scena risulta modificato mediante lo spostamento del quadretto votivo da sinistra a destra, l'eliminazione delle padelle di rame appese alla parete interna e una diversa disposizione dei pulcini in primo piano dove non venne riproposta la piacevole figura della lucertola.
Resta da supporre quindi che, a distanza di cinque anni, l'artista avesse voluto fornire un'interpretazione abbastanza diversa senza tuttavia mutarne la sostanza. La seconda versione presenta l'immagine di una famiglia e di un emigrante che ha perso il carattere contadino per acquistare un aspetto sempre popolano ma più "borghese".
Da un'osservazione attenta dell'affresco attualmente visibile in piazza Minoia è possibile scorgere un netta cesura dell'intonaco che corre sotto la bisaccia, i piedi dell'emigrante e le zampe del cane. Anche nella parte superiore si nota la giornata dell'affresco che passa sulla spalla della donna anziana, prosegue sotto il suo capo e finisce a fianco della testa della bambina. La firma visibile in basso a sinistra rappresenta una sorta di falso storico, dal momento che nella versione del 1956 la data non compare. Inoltre l'artista, anche se avesse voluto inserire la data nell'affresco di piazza Minoia, avrebbe dovuto riferirsi al 1961, anno in cui fu eseguito quel dipinto. In quest'ultima versione, inoltre, è stata eliminata la primitiva cornice in pietra che rendeva l'opera simile ad un'edicola legata alla religiosità popolare.
Il linguaggio di Usellini adottato ad Arcumeggia contrasta con molta della produzione coeva, caratterizzata da un lessico ancora evidentemente metafisico in opere quali "La maschera rossa" (1956) "Sbornia" (1956), "II gelataio" (1957), "II diavolo nel convento" (1957) e "Autoritratto con maschera rossa" (1957).
Nella monografia che Pica dedicò all'artista, si legge una curiosa quanto probabilmente imprecisa testimonianza, poiché lo studioso segnalava tra le opere di maggior impegno di Usellini non uno, ma due affreschi eseguiti ad Arcumeggia tra il 1956 e il 1957.
Lo stesso Pica, nel 1967, scrisse: "una tal quale legnosità e il delizioso impaccio della composizione di Usellini, «II ritorno dell'emigrante», si giustificano nell'aura un po' estatica da teatro popolare o da sacra rappresentazione, il cui fascino è un poco offuscato e come riassorbito dalla cupezza dei toni".

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Gianfilippo Usellini - Il Ritorno Dell'emigrante

 

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